Sanzioni amministrative

LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI PROPRI DELLE RSA E L’EPIDEMIA DI COVID 19

Iniziano le indagini giudiziarie sulle RSA. Sarà necessario dimostrare che l’inadempimento contrattuale sia dovuto ad una omissione colposa. Ma la responsabilità non è solo delle strutture ospedaliere.

1.Negli ultimi giorni è stato purtroppo evidenziato un ingente numero di decessi derivanti da Coronavirus in molte residenze sanitarie assistenziali in tutto il territorio nazionale.
Questi gravi fatti, oltre a riscuotere una vasta eco sugli organi di informazione, non potevano passare inosservati alla magistratura inquirente, tra cui, in primis, quella di Milano.
Secondo fonti giornalistiche, la Procura del capoluogo lombardo – che ha già aperto delle indagini presso alcune RSA – dovrebbe focalizzarle sul ‘nesso di causalità’ e cioè dimostrare l’esistenza o meno di un collegamento tra l’infezione da coronavirus ed i decessi, collegamento dovuto ad eventuale imperizia, negligenza o mancata applicazione di norme da parte del personale delle strutture sanitarie e della loro amministrazione.
Si ricorda infatti che, in materia di responsabilità professionale sanitaria e per consolidata giurisprudenza, la previsione dell’art. 1218 c.c. solleva il creditore dell’obbligazione che si afferma inadempiuta (nella fattispecie i parenti dei deceduti e gli ammalati stessi) dall’onere di provare la colpa del debitore (nella fattispecie le strutture sanitarie ed il personale che in esse opera), ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui si domanda il risarcimento (ex plurimis Cass. Civ. nn. 6593/2019, 18392/2017, 29315/2017).
2. Prima di esaminare la vicenda dal punto di vista giuridico, si ritiene utile condurre un brevissimo excursus sugli attuali princìpi in ambito di responsabilità sanitaria.
Come noto, la l. n. 47/2017 (c.d. l. “Gelli – Bianco”) all’art. 7 pone a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, una responsabilità di natura contrattuale (artt. 1218 e 1228 cc.), in forza del c.d. ‘contratto di spedalita’, per le condotte dolose o colpose di coloro che al loro interno esercitino la professione sanitaria; per questi ultimi è invece prevista una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c..
Le citate strutture rispondono altresì, ai sensi dell’art. 1218 c.c., in proprio (e non solo per fatto altrui) dei danni subìti dai pazienti a causa della violazione di obblighi ad esse imposti.
Tale responsabilità propria – si ritiene – sarà quella che verrà presa soprattutto in considerazione dagli inquirenti nei processi che inevitabilmente scaturiranno in futuro e che già vedono indagati alcuni amministratori delle strutture medesime.
3. Volendo continuare nel nostro breve excursus giuridico, si rammenta come – in tema di suddivisione dell’onere probatorio e secondo oramai consolidata giurisprudenza ( ex plurimis, da ultimo, Cass. Civ. III, nn. 8664/2017, 344/2016, 21782/2015, 12690/2015, 8473/2015 e Cass. Civ. SS.UU. n. 577/2008) il paziente è tenuto a dimostrare l’esistenza del rapporto contrattuale di spedalità con la struttura e l’insorgenza di una patologia ovvero il suo aggravamento e ad allegare l’inadempimento del debitore quale causa o concausa della produzione del danno; la struttura dovrà invece provare che l’inadempimento non vi è stato o è dipeso da fatto ad essa non imputabile (ex artt. 1218 e 1256 c.c.) ovvero che, pur esistendo, non è stato eziologicamente rilevante.
La colpa del debitore è presunta. Per superare detta presunzione, la struttura – debitrice dovrà (come ‘prova liberatoria’) dimostrare la non imputabilità del suo inadempimento; tale prova ad avviso della giurisprudenza (Cass. Civ. nn. 13674/2006, 5960/2005, 12477/2002, 7604/1996) dovrà essere piena e completa e comprendere anche la dimostrazione della mancanza di colpa, ossìa di aver fatto tutto il possibile per adempiere la prestazione dovuta; in mancanza di prova liberatoria, si dovrà presumere la sussistenza dell’elemento soggettivo e quindi la responsabilità per inadempimento.
Chi scrive, ovviamente, non conosce al momento attuale quale sarà lo svolgimento e l’esito dei futuri processi che interesseranno le RSA (ma, molto probabilmente, anche gli ospedali pubblici) poste ora poste sotto il mirino della magistratura; né è a conoscenza degli atti processuali.
Quel che si può dire è che le strutture interessate potrebbero dimostrare di non aver potuto adempiere la propria prestazione in favore dei pazienti (molti dei quali deceduti a causa del Coronavirus o anche semplicemente ammalatisi a causa dell’epidemia e poi guariti) in assenza di una loro condotta negligente o imprudente perché, a titolo di esempio: a) avevano seguito esattamente i loro protocolli interni; b) non erano state fornite, loro dalle amministrazioni sanitarie competenti, precise indicazioni sul trattamento dei malati da Covid 19 ospitati da altri nosocomi dopo la fase acuta; c) non erano stati forniti loro, in maniera sufficiente, dei presidi medici (come mascherine e guanti) per far immediato fronte all’emergenza epidemica, pur avendo tempestivamente e documentalmente avvisato le amministrazioni competenti di tale carenza.
4. Chi scrive, in conclusione, è dell’avviso che la presente non sia solo un’emergenza sanitaria, ma anche e soprattutto, ospedaliera.
La responsabilità, tuttavia, non è stata di certo solo delle amministrazioni dei nosocomi o del loro personale.
E’ stata dell’OMS (la quale gode di enormi finanziamenti annuali di cui utilizza, però, solo il 4% per l’acquisto di medicinali) che, in gennaio, ha colpevolmente minimizzato l’entità della pandemia, non rendendosi conto – o non volendo rendersi conto, per inconfessabili complicità – della gravità del fenomeno; ha dichiarato l’allarme pandemico quando era oramai troppo tardi; tuttora oggi non sa dare indicazioni univoche e precise in ordine all’utilità dell’uso delle mascherine.
E’ stata del taglio di 27 miliardi di spesa sanitaria negli ultimi 10 anni che ha affaticato il SSN al punto, tra l’altro, da limitare la disponibilità di unità di terapia intensiva per l’urgenza epidemica in numero del tutto insufficiente.
E’ stata della delocalizzazione all’estero delle fabbriche di guanti e mascherine (perché la loro fabbricazione in Italia non era economicamente profittevole), con tutte le drammatiche conseguenze che sono state – e sono – sotto gli occhi di tutti, cittadini ed operatori sanitari.
E stata della mancanza (almeno a contezza dello scrivente) di un protocollo uniforme per tutto il territorio nazionale da osservare in caso di rischio epidemico, come se le epidemie fossero un evento imprevedibile (quale un’aggressione extraterrestre) e non invece ricorrente nella storia umana.
C’ è’ vivamente da sperare che i lutti, il dolore, la compressione delle libertà personali, la terrificante crisi economica globale che ci attende, siano di qualche insegnamento per il futuro.
Avv. Carlo Delfino